Traccia di preghiera sul Vangelo della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Riconosci in te il desiderio di avere più fede? Quale desiderio profondo esprime? È davvero importante possedere una fede sempre più grande?
Indicazioni metodologiche
- È una traccia di preghiera sulle letture della domenica, in particolare sul Vangelo, ispirata alla tradizione degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola.
- Presuppone la lettura del Vangelo corrispondente: se omessa, la traccia che segue è priva di senso e si trasformerà in una presa in giro di se stessi.
- È predisposta in maniera tale da cercare di favorire il tuo coinvolgimento, il tuo apporto, il tuo contributo.
- Per la durata di questa preghiera, propongo i seguenti criteri:
- criterio del gusto interiore: farla durare sin quando ci dà gusto, ci coinvolge, ci intriga.
- criterio quantitativo minimo: non meno di 10 minuti.
- criterio quantitativo massimo: non più di 60 minuti.
- Non devi approfondire ogni spunto e domanda della traccia. La raffica di spunti e domande è per aiutarti a trovare il tuo filo conduttore. Soffermati dove ti senti toccato, dove senti coinvolgimento, dove avverti un richiamo. La tua preghiera passa in maniera decisiva dall’attenzione a questi movimenti interiori. Passa ad un altro punto della traccia solo quando hai ben gustato il precedente.
- Puoi impiegare la traccia con diverse modalità, prestando attenzione al tuo bisogno
interiore: una sola volta, per più giorni, per una settimana intera. - Puoi adoperarla anche insieme ad altri: in tal modo, dopo la fase personale, è poi possibile condividerne i frutti. Alcuni stanno sperimentando la traccia in gruppi.
- Alla fine della preghiera, prendi qualche appunto scritto (su carta, in un file, ecc.) sull’esperienza spirituale vissuta.
- Pregando sulla traccia, ti faranno compagnia tante sensazioni in ordine sparso, tipo “Non ci capisco niente!”, “Quante domande…”, “Io sono in cerca di risposte chiare e complete e qui trovo solo domande e tante…”, “La struttura della preghiera è strana”, “Alcuni passaggi risultano macchinosi…”, “Mi restano alcune immagini e non capisco perché”, “Sono affiorati diversi ricordi, belli e meno belli: che senso ha?”
- Non solo: ti potrà capitare di ritornare in maniera spontanea sulla traccia mentre sei impegnato nelle tue corse o di essere raggiunto ancora da essa.
Sai come si chiama tutto questo?
Preghiera.
La tua.
Sì, starai pregando.
Continua.
Testo del Vangelo…
Dal Vangelo secondo Luca (17,5-10)
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
*Foto designed by Canva AI
Preghiera preliminare
Chiedere a Dio nostro Signore la grazia che per la durata della preghiera tutte le mie intenzioni, il mio agire e la mia dimensione interiore non si disperdano in mille distrazioni, ma siano dedicate solo all’incontro con Lui: è possibile ed è bello.
Primo passaggio introduttivo
Consiste nel comporre il tema della preghiera. Qui sarà l’avere più fede.
Secondo passaggio introduttivo
Consiste nel domandare al Signore quello che voglio e desidero. Qui, in particolare, gli chiedo di comprendere come accrescere la fede.
Primo punto
Contemplo la scena. Gli apostoli si avvicinano a Gesù con una richiesta che sento profondamente mia, una preghiera che, anche io, ho fatto tante volte: “Accresci in noi la fede!” Riconosco l’origine di questa domanda. Nasce da un percezione di inadeguatezza, dalla sensazione che la mia fede sia troppo piccola, troppo debole, troppo fragile, per poter affrontare le sfide della vita. È il desiderio di avere “più” fede, come se fosse un sistema muscolare da tonificare, una riserva di energia da accumulare, per sentirmi più forte e più sicuro.
Ora, ascolto la risposta di Gesù. Con sorpresa mi accorgo che non spiega come “aumentare” la fede. Sta cambiando completamente il discorso. Parla, infatti, di un granello di senape, cioè di qualcosa di piccolissimo, e di un gelso sradicato. È come se dicesse: “Il problema non è la quantità della vostra fede, ma l’idea che avete della fede“.
Intuisco che Gesù sta smontando la mia visione della fede: non è un potere che io possiedo, è un atto di fiducia che io compio. Non è la grandezza della mia fede a sradicare i gelsi: è la grandezza di Dio, alla quale la mia fede, anche se minuscola, è chiamata ad affidarsi. La potenza non è solo nel seme, ma anche nel terreno a cui il seme si consegna.
Ripensando alle volte in cui chiedo che venga aumentata la mia fede, cosa desidero veramente? Più controllo sulla mia vita, più sicurezze, meno dubbi?
Riconosco la tentazione di vedere la fede come una “massa muscolare spirituale” da allenare, come una mia performance?
Cosa cambierebbe nel mio modo di affrontare una difficoltà, se mi concentrassi non sulla “misura” della mia fede, ma sull’affidarmi, con quel poco che ho, a Dio?
Secondo punto
Gesù continua con una parabola ancora più dura, quasi urticante: quella del servo che torna dai campi. Contemplo la scena. Il servo ha lavorato tutto il giorno. Rientra stanco. E il padrone non lo ringrazia, non lo fa sedere. Anzi, gli chiede di continuare a servire. E la conclusione di Gesù è tremenda. In queste situazioni, invita a discepoli a dire: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.“
Questa frase mi ferisce, mi urta. Sembra negare il valore del mio impegno, del mio servizio. Mi fermo e chiedo la grazia di capirla più a fondo. Poco alla volta, mi rendo conto che Gesù sta attaccando un’altra delle mie logiche più radicate: quella del merito e del contraccambio, che applico anche a Dio. È la logica che mi fa pensare: “Ho pregato, ho fatto bene, sono stato un bravo cristiano… ora, Signore, mi spetta qualcosa. Mi spetta la tua gratitudine, il tuo riconoscimento, una consolazione, un posto a tavola“.
Gesù, con questa parabola, fa esplodere questa logica del voler tener i conti con Dio. Mi dice che il servizio del discepolo non è un “extra” che compiamo per guadagnarci il favore di Dio. È la risposta naturale e gioiosa di chi già appartiene alla Sua casa, di chi già vive nella Sua grazia. Non serviamo per essere amati, serviamo perché siamo amati.
Allora la parola “inutile” cambia sapore. Non significa “che non vale nulla“. Significa “senza utile”, “senza pretese“, “che non avanza crediti“. “Servo inutile” è il nome di chi agisce non per ottenere una ricompensa, ma per la pura gioia di appartenere e di servire. E questa, mi accorgo, non è una umiliazione. È una liberazione immensa dall’ansia di dover essere sempre all’altezza, di dover meritare l’amore di Dio.
Riconosco in me questa logica del “merito” nel mio rapporto con Dio? Dopo aver compiuto un dovere o un gesto di carità, mi aspetto inconsciamente un premio, una “paga“?
Quando medito sull’immagine del ‘servo senza pretese‘, quale risonanza ha nel mio mondo interiore? La percepisco come una minaccia alla mia dignità e al mio bisogno di riconoscimento oppure come una promessa di liberazione dall’ansia di dover essere sempre all’altezza?
In quale ambito della mia vita, potrei provare a servire in modo più “inutile“, cioè senza calcolare il ritorno, solo per la gioia di donare?
Terzo punto
Metto insieme i due insegnamenti di Gesù e mi rendo conto che mi sta donando la possibilità di liberarmi da due illusioni: quelle di considerare la fede come potere da possedere e di viverla come merito da accumulare. Questa liberazione non è semplicemente il frutto di un insegnamento. È resa possibile dalla relazione con Lui.
Ecco la Buona Notizia che illumina tutto: la logica della fiducia e della gratuità è la biografia stessa di Gesù. È Lui il primo che ha vissuto con una fede piccola, come un granello di senape, affidandosi totalmente al Padre, fino a sradicare il gelso della morte.
È Lui il “servo inutile” per eccellenza, il Figlio che non ha preteso nulla, ma ha servito, fino a lavare i piedi e a dare la vita, non per guadagnare un merito, ma per la pura gioia di amare. La sua Pasqua, la sua Morte e Risurrezione, sono la dimostrazione definitiva che la logica di Dio è questa.
La sua vita donata ci rende capaci di partecipare a questa stessa logica. Scopro così che la fede non è più solo “abitare una relazione”. È essere innestati nella relazione di Gesù con il Padre. Non è più uno “sforzo” per essere come Lui, ma è lasciarmi abitare dalla Sua stessa vita di fiducia e di servizio.
Contemplando Gesù, che ha vissuto la sua fede come affidamento e il suo servizio come gratuità, quale aspetto della sua testimonianza mi attrae e mi interroga di più, oggi: la sua immensa libertà interiore di fronte alle aspettative del mondo oppure la sua capacità di donarsi senza misura?
La Buona Notizia è che la sua Pasqua rende possibile questa logica anche per me. Di fronte alla mia fatica del servire “senza pretese“, quale dinamica spirituale sento più mia, in questo momento? Quella dello sforzo volontario, per “fare meglio” e imitare il suo esempio, oppure quella dell’affidamento più profondo, per “lasciare che la sua vita donata” agisca di più, attraverso di me?
Cosa significa, per me, passare dall’idea di seguire Gesù, come un modello affascinante da imitare, a quella di “essere innestato” nella sua stessa relazione con il Padre? Quale piccolo passo posso fare, per vivere il mio servizio non come una mia performance, ma come un frutto della Sua vita, in me?
Colloquio
Conversiamo da amico ad amico con il Signore. In particolare, Lo ringrazio perché mi ha svelato che la vera gioia non sta nel possedere una fede sempre più grande, ma nell’affidarmi a Lui, con la piccola fede che già ho. Concludo con un’Ave Maria.
Cliccando sull’icona è possibile scaricare la traccia di preghiera in formato pdf.
(Istruzioni per la stampa)

Avere fede nel Signore è più di un atto di fiducia. E’ la certezza di essere amati per quel poco di fede che pensiamo di avere e per la quale pretendiamo una ricompensa. Ricompensa che non ci spetta perché già il Signore ci ama per quello che siamo e non per ciò che potremmo essere. Il Signore ci invita alla perfezione ma non limita mai l’amore che riversa sui nostri cuori, è sempre lì pronto a soccorrerci e ad aiutarci a rialzarci dalle cadute, sempre presenti nel nostro viaggio in questa vita. Il Signore non ci abbandona mai: è questa la ricompensa di cui dobbiamo avere certezza.
Un abbraccio
Giovanni